Ligorio, Pirro

Antichità di Roma (Napoli, vol. 1)
Non so se quelli Greci per questo intendessero che fusse cosa grata alla dea o ver alla loro pazzia per esser secondo la fabula di Giganti figliuoli della Terra mutati in simili animali molto superbi et invidiosi, i quali avemo alcuna volta veduti nell’antiche pitture presso la imagine della Luna e di Iside, o vero presso quella dea che chiamano natura generante, cioè Dindymene et Cibelle, perché per tutti questi nomi viene appellata da Valerio Catullo nel fin del carmo di Berecynthia e Attis così: Dea Magna, Dea Cibelle, Dea Dindymi Domina, et in un altro luogo più di sopra Agite ite ad alta Gallae Cybelles nemora simul, simul ite Dindymenae Dominae vaga pecora, e così chiaramente ne demostra Cibelle esser Dindymene [...].
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