Ligorio, Pirro

Antichità di Roma (Napoli, vol. 3)
bella all’illustrissimo cardinal di Carpi. Un’altra simile ne fu portata fuor di Roma, trovata nell’Esquilie al tempio detto di Venere e Cupidine, ove fu la imagine di Venere di grandezza naturale, che avea il corpo tutto vestito d’un sottilissimo vestimento del marmo detto alabastrite alabandico di varii colori; la testa poi, le mani, i piedi erano di cristallo di montagna orientale, de’ quali membri n’avemo veduti alcuni pezzi. [...] [...] Si trova nell’istorie de’ Sassoni che appo loro stava finta Venere dritta sopra un carro tirato da dui cigni, e di altretante colombe, nuda col capo coronato di mirto, et aveva nel petto una facella ardente, nella mano destra avea una palla in forma del mondo rotonda, nella sinistra tre pomi d’oro, e di dietro le stavano le Grazie, tutte tre con le braccia insieme convinte et abbracciate, quasi che queste, essendo Venere padrona del mondo, gioca con ogniuno con li suoi pomi d’oro, i quali prestò a Hippomene per vincere Atlanta. Le Grazie la seguitano poi perché non è bellezza se non v’è grazia, non è amore se non v’è utile, o pure perché se la donna non è bella quanto si ricerca il sesso suo femineo ha sempre in sé qualche grazia a far tirar la voglia agli uomini et usar la venerea congiunzione. [...]
p. 112 [c. 163r (=p. 319)]