Ligorio, Pirro

Antichità di Roma (Napoli, vol. 3)
il tirso di Bacco, dall’altra un certo vaso [...] di sotto senza piede, come è una crepsidre da contar l’Hore, o pure è il vaso del bene dell’amanti e della bellezza da essi amata, o è quel della speranza e della gioventù; porta le ale alle spalle et alli piedi, perché egli ogni cosa arriva, et animata e volatile, et a tutte porge et infonde la voluttà e dolcezza dell’amore. Le cause d’amore dunque che cavalca gli animali veloci sono gli effetti che porta seco, che vincono ogni feroce animale. E sono defferenti gli amori, come è quell’altra imagine che da ’na mano porta la tazza, dall’altra li fiori, che l’una è cosa della bellezza e della speranza e gioventù, la tazza della concordia, perciò che quello è vero Amore, perché quando egli è reciproco e munificente ha le ale alle spalle per sua velocità che fa scorrere in un momento molte materie e molti pensieri. Questa tale imagine è d’un amore utile che insegna come si dee amare di benificare, né penso che sia lascivo amore, ma quello a cui quadrarebbe questo detto del divo Augustino: meglio è amar con severità che con mansuetudine ingannare. Plinio Cecilio disse: niuna cosa esser nell’Amore più degna di lode che la Constanza. Colui che ama veramente, ogni ora se le scuopre con benificio o con altro effecto. Onde ben Cipriano: il costume degli amanti è così fatto, che l’amor loro non possono cuoprire. Quella corniola intagliata, dove che Socrate filosofo metteva Amore dentro, la quale fu di messer Camillo Molza, adimostra il vincere dell’Amore che fece quel valente filosofo, che andava per li conviti dove erano condotte belle giovanette, et andava in campagna nelle case delle concubine, sempre se astenne come dice Xenophonte: siché lo intaglio ci dimostra quel severo fine di colui che poté far ciò che volse di quel dio che fa impazzare le più belle creature, il quale, come dice Platone, pessimo è quel’amatore il quale ama più il corpo che l’anima, perché non è stabile, con ciò sia che siegua cosa instabile et inferma. Fece Socrate grande resistenza d’amore, e se bene andava dove i compagni lo tiravano, dove andavano de’ grandi re, potendo in molti luoghi fruire, se ne tolse dalle mani, perché fece come dice Seneca, che alli primi assalti d’amor fa resistenza, ritorna vincitore. Così si deve fuggir la cosa che occupa il diritto dell’intelletto e così si fugge quell’imago che usurpa la mente e l’animo, per tutto divinamente disse il divo Hieronymo: inutil cosa è a veder quella figura per cui fusti alcuna volta preso e ligato, et è male a commetterti all’isperimento di quelle cose delle quali, essenti poi, startene con difficultà. [...]
p. 123 [c. 177v (=p. 348)]