Ligorio, Pirro

Antichità di Roma (Napoli, vol. 3)
Dell’Immortalità dea e dell’ Eternità. Hanno ancora i gentili destinta la Aeternità dall’Immortalità, ad un certo modo ancora che sia una istessa cosa e potenza de Iddio. Cotal dea dunque fecero una bellissima donna impiedi, vestita di tunica longa insino ai piedi, con una castula o vogliamo dire vesticciola corta e soccinta sotto delle mammelle, da una mano ha l’asta, scettro con cui ella rege e governa la perpetuità delle cose immortali, e dall’altra tiene un cespo dell’erba detta sempreviva. Hanno con costei intagliato il Tempo, come era in quella corniola che avea il Molza poeta, il qual Tempo è un vecchio con le ale alle spalle et alli talloni, che tiene una ruota con una bilancia di sopra, la qual tenendo del pari demostra volgere la rota di sotto; egli è tutto gnudo, come che significasse che egli gira del pari tutta la mondana machina, e che ogni cosa spoglia e solo lui è chiaro a tutti. E questo è un altra spezie di Aeternità detta Tempo, che non ha altro che perpetuo moto, né mai ebbe in sé principio né mai terrà fine, se non in sé istesso, e perciò Mercurio Trismegisto e Platone disseno che ‘l Tempo non è altro che Aeternità, perciò che questo in sé istesso si rivolve, né pare che mai abbi fine, e questo Tempo nella medaglia di Adriano greca, fatta da quei di Tyro città di Fenicia, è formato che sta dentro del zodiaco, o vero è come in quel lapis ama-
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