Ligorio, Pirro
Antichità di Roma (Napoli, vol. 3)
Dell’Occasione, over Opportunità. In nella città di Sycione fu di Lisippo un’opera miranda, da tutti gli uomini laudata. Questa era la imagine dell’Opportunità, o vogliamo dire l’Occasione, veramente opera celeste. Era in forma d’un giovane bellissimo dal capo ai piedi pubescente, cioè tutto pieno di pubertate, dimostrava il suo aspetto giocondo con capelli purissimi e bellissimi et inalzati al vento, che arresti detto che Zephyro vi fusse vago di ventillarli e muoverli, in ogni parte graziosi, ventillavano tutti verso la parte del fronte, e copioso e di splendido corpo simile alla statua di Dionysio, o vogliamo dir Bacco, nel suo fronte demostrava con le ciglia una certa movenzia e grazia, come demostravano i vaghi giovani nella prima sua florente etade, che sono tutti d’una pulchritudine ornati dalla natura, con benigno e giovenile aspetto, demostrava appunto quella fervida e vivace crescenza, tutto molle e robicondo di colore, negli occhi giocondissimo, con li piedi alati, sopraposti ad una palla con atto di aver con la sua potestà di moverla, e ’l sguardo suo accompagnava il sventillar avante de’ capelli, che poi avante il fronte s’annodavano accioché denotasse non esser facile in pigliarlo per essi, e nelle spalle avea due grandi ale, tutto movente, sì come lo discrive Filostrato nelle sue phrasi. Voglion gli antichi che l’Occasione sia stata formata una donna virile, che i Greci chiamano ΚΑΙΡΟΝ, la quale i poeti chiamano dea dell’Opportunità delli umani negozii e preside de tutte le cose che si negoziano a cui gli dei sono obligati, la quale dipinseno co’ piedi sopra d’una volubile ruota, velocissima dea delli rivogimenti, de vertigini, circularmente di tutto il mondo, nella parte di dietro del capo senza capelli, e davante longhi, volendo in ciò denotare la difficultà di prenderla, e la inconstanzia sua del non si firmare e tutti quelli che non la sanno pigliare a tutti dà col coltello che porta un rovescio se li spesa, e per questo dopo lei va la Penitenzia col bastone in mano per percuotere chiunche non la prende. La qual dea meglior che ogni altro la discrive Ausonio Gallo in questa sua epigramma: Cuius opus? Phidiae, qui signum Pallados, eius,/ quique Iovem fecit, tertia palma ego sum,/ sum dea quae rara et paucis Occasio nota./ Auid rotulae insistis? Stare loco nequeo./ Quid talaria habes? Volucris sum; Mercurius quae/ fortunare solet, trado ego, cum volui./ Crine tegis faciem. Cognosci nolo. Sed heus tu/ occipiti calvo es. Ne tenear fugiens./ Quae tibi iuncta comes? Dicat tibi. Dic, rogo, quae sis./ Sum dea, cui nomen nec Cicero ipse dedit;/ sum dea quae facti non factique exigo poenas,/ nempe ut paeniteat: sic Metanoea vocor./ Tu modo dic quid agat tecum. Quandoque volavi/ haec manet, hanc retinent quos ego praeterii./
p. 60
[c. 82v (=p. 158)]
Edizione cartacea
Informazioni bibliografiche
Ligorio, Pirro, Antichità di Roma (Napoli, vol. 3), Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. XIII. B. 3
Edizione digitale
Acquisizione
Carmelo Occhipinti
Codifica
Carmelo Occhipinti
Revisore
Carmelo Occhipinti
Data di pubblicazione
13/6/2023