Ligorio, Pirro

Antichità di Roma (Parigi)
Signor illustrissimo, le varie e quasi innumerabili mutazioni e ruine che la città di Roma ha fatte e patite per tanti secoli, quanti da la prima edificazion sua ne sono corsi insino a questa ultima età, hanno in modo alterato, guasto e trasformato dall'esser di prima l'aspetto e 'l corpo d'essa città, che quelli che da cento anni in qua si sono affaticati per renderne a' posteri qualche vera sembianza, trovandosi in tanta confusion di cose e non considerando le ingiurie e le varietà de' tempi e de la forma, né con la diligenza che si ricerca leggendo et essaminando le parole et i sentimenti degli antiqui scrittori, ne' quali si conserva ancor viva in bona parte la memoria di Roma, ma andando a guisa di ciechi e quando in una e quando in un'altra falsa apparenza inciampando, sono caduti [in] infiniti e grandissimi errori. È la cosa andata in maniera che pigliando essi ora questo luogo per quello, et ora quello per quell'altro, e non riconoscendo, se non in picciola parte, né valli, né campi, né cerchi, cé teatri, né curie, né basiliche, né tempii, né fori, né ponti, né porte, né regioni, né altri luoghi o edificii publici o privati, e prendendo errore fin ne' colli et insomma confondendo e contrafacendo ogni cosa, a me pare che, invece di rappresentarne l'imagine e la forma di Roma, ci abbiano più tosto fatto veder lo schizzo e 'l disegno d'uno strano laberinto o, per parlare più proprio, il ritratto e modello d'una nuova Babilonia. Sotto i quali errori veggendo io andar presi non pur la plebe e gli altri che pendono dal giudizio de' dotti, ma communemente ancora quasi tutti gli antiquarii, e stimando che da la vera cognizion di queste cose fosse per seguirne agli uomini oltre alla dilettazione e 'l piacere, etiandio non picciola utilità per la molta erudizione e d'ogni sorte dottissima, de la quale son piene, giudicai di non dover far opera se non laudabile e graziosa, se io scrivendo chi ingannasse il mondo traesselo fuor di queste tenebre, per onde tuttavia camina, senza alcuna fedele scorta ce lo conduca. Per la qual cosa tornato a rileggere e con somma diligenzia essaminare gli buoni scrittori antiqui e li Greci e li Latini, che de le cose de la città di Roma hanno lassato memoria fedele a la posterità, e più degli altri, ho rivolti e considerati gli scritti di Publio Vittore e di Sesto Rufo, dico gli antiqui e buoni scritti a penna, i quali però non molto staranno a mostrarsi a tutti per opera e studio del dottissimo Faerno, o veramente dal
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