Ligorio, Pirro

Antichità di Roma (Napoli, vol. 3)
Fecero il tempio di Venere Vincitrice con la statua armata, della quale Ausonio fa un bello epigramma e ne scrive Plutarco assai di questo caso. Nella cui epigramma scherza esso poeta, con questa sentenza: Pallade vedendo Venere armata come ella andava, gli venne voglia di contendere con Venere un’altra volta, come contese già della bellezza nel giudizio di Paris; ma Venere, sì come ebbe la sentenza in favore della bellezza, in questo risponde a Minerva dicendogli: Tu fosti vinta da me mentre io ero nuda, che farò or che sono armata? hai dunque animo di venire a me armata, che nuda già ti vinsi? così la trattò mottiggiando da sciocca a mettersi seco. Il Sannazzaro anch’or egli usò in una sua epigramma un’altra arguzia più approposito, fingendo che Venere mentre andava con l’arme di Marte, Priapo gli disse: O Venere che fai? deh, lascia star l’arme, che questa mentula è l’arme di tua mano. [...] Onde Filostrato nella pittura degli Amori che egli discrive finge che le nimfe posero una statua a Venere, perché ella fu felice madre degli amori di sì alta prole, degna d’aver dedicato da esse un specchio d’argento con alcuni adornamenti nel piede indorati. [...]
p. 118 [c. 171v (=p. 336)]