Ricci, Amico

Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona
pensò renderle esili, in guisa che non colonne, ma grosse canne o pali ritti rassembrarono; e perché gli archi sovrapposti potessero con eguale facilità moltiplicarsi senza che ne rimanessero troppo soffocati, e per così dire ciechi, si pensò d’alzarli. Ed ecco il Arco a sesto acutosesto acuto in luogo del Arco a tutto sestosesto intiero, a poco a poco introdotto da prima per semplice ornato, e quindi impiegato nell’imbastimento dei gran fabbricati per dar maggior luce e sveltezza, e più anche per la quasi comune opinioneFrisi, Istituzioni Meccaniche.
Ciampi, Sagrestia Pistoiese, pag. 8.
che l’Arco a sesto acutoarco di sesto acuto fosse capace di sostenere maggior peso dell’Arco a tutto sestoarco di sesto intero, al che ci confermano i dottissimi Frisi e CiampiHaire, Atti dell’Accademia delle Scienze di Parigi, 1712.
Belidor, Scienza degli ingegneri, capitolo I, libro II.
Questi dotti matematici geometricamente dimostrano che in ogni storia di archi, qualunque peso che vi si carichi sopra, esercita una parte della sua forza per rinfiancare e spingere orizzontalmente le colonne e gli archi sottoposti alla metà, alla terza, e quarta parte dell’arco, e in tutti gli altri punti inferiori. In secondo luogo la spinta orizzontale esercitata all’imposta di un arco semicircolare uguaglia la metà del peso posto in cima dell’arco: per esempio sovrapponendovi trecento mila libre, la cima de’ sostegni, o piedritti, ai quali si appoggia l’arco verrebbe spinta in fuori con una forza equivalente a libre centocinquantamila. In terzo luogo supposti due archi ugualmente larghi, uno semicircolare e l’atro gotico a sesto acuto, e caricandogli in cima d’un peso eguale, la spinta orizzontale esercitata all’imposta del primo sarà alla forza consimile dell’imposta del secondo, prossimamente come 15 a 13. Inoltre nei punti di mezzo fra l’imposta e la cima dei due archi già detti, le forze laterali cagionate similmente da un egual peso saranno fra di loro come 5 a 7, e alla terza parte degli archi saranno prossimamente come 4 a 5. Finalmente fra la metà e la terza parte dell’arco gotico la spinta orizzontale uguaglierà in circa la metà del peso sovrapposto, e sarà per conseguenza la stessa, che di egual peso si potrebbe esercitare all’imposta dell’arco semicircolare, e però l’imposta dell’arco gotico sarà più sicura di quella dell’arco semicircolare e romano. Ma nei punti di mezzo fra l’imposta e la cima l’arco romano sarà più sicuro del gotico: per esempio caricando la cima dell’arco gotico di libre trecentomila, la spinta orizzontale cagionata verso la terza parte dell’arco sarà in circa di libre centocinquantamila, quanto alla terza parte dell’arco romano riuscirebbe solamente di libre centoventimila. Riassumono questi scrittori il loro dire stabilendo come principio d’esperienza che gli archi e le volte rompansi ordinariamente fra l’imposta e la cima, e però le chiavi di ferro si sogliono mettere verso la terza parte delle volte. Dunque essendo più debole l’arco gotico fra l’imposta e la cima, dov’è maggiore il pericolo di rompersi, non si potrà preferire all’arco romano, e gli architetti di questo tempo nel sostituire il primo al secondo hanno, dicon essi, realmente pregiudicato non solo alla bellezza, ma ancora alla fermezza e solidità delle fabbriche.
A questo parere si conforma pure il signor Quatremere nell’Histoire de la vie et des ouvrages des plus celebres architectes du XI siecle jusque a la fin du XVIII, Paris, Jule Renuard, 1830, volume due, 8
. Queste pensiamo si fossero le cause che propagarono l’uso del Arco a sesto acutosesto acuto, come già si scorge nelle fabbriche erette circa la metà del XII secolo e nel principio del XIII, in tal modo indicandosi il passaggio dal Romanicogotico antico al Goticomoderno; ed un esempio di questo genere lo presentiamo nella chiesa di Fiastra, ove si vede praticato il Arco a sesto acutosesto acuto nel maggior arco della tribuna, essendo il rimanente ad impalcature, o cavalli. Cangiamento fatale che non essendo nuovo, ma riprodotto, comecché avvenuto ancora ai tempi di Vitruvio fece tanto lamentare questo scrittore, che al libro VIII, capitolo V ebbe a dire: «Pinguntur in tectoriis monstra potius, quam ex rebus finitis imagines certae. Pro columnis statuuntur calami pro fastigiis harpinetuli stiriati cum crispis, foliis, et volutis». La parte esterna è semplicissima, giacché meno un timpano, pel rimanente non abbiamo che l’arco della porta, il quale presenta ornati comunissimi nelle chiese di cui parliamo, e che pure si replicarono in tutte quelle del principiare del susseguente secolo. Sopra l’arco della porta scorgesi una spaziosa finestra di figura rotonda, con cornice di pietra a vari intagli scolpita, che i monaci incominciarono allora ad usare astratti dalla necessità di dar luce a quelle vaste chiese, le quali nei muri laterali, come dicemmo, altro non avevano, se non feritoie. Questa foggia di finestre rotonde non venne già dal settentrione, ma dall’antica Roma, che le aprì sotto al timpano delle basiliche, come può vedersi nella così detta Siciniana la più antica di tutte.
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