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Pianga pure con me la Scultura, perché né ella troverà per un pezzo un professore di simil vaglia, né io un amico di tanta legge. Pianga pur pianga meco, né di pianger mai si rimanga finché un nuovo Camillo non risorga! Ma dove, e quando risorger potrà un di quegli uomini, di cui stati son scarsi i secoli, eziandio più fortunati, e fecondi, e non ne ann’avuta abbondanza i protettori più generosi, e più splendidi! Ond’è, che qualunque volta mi porta il pensiero a considerar fissamente quella recente, ed improvvisa perdita, che in niun modo posso allontanar dalla mente, sempre più me ne affliggo, me sento trafiggermi il cuore. Pure considerando ancora, che se è morto Camillo, vivono di Camillo l’opere, e l’azioni, che son giusto quelle, che come parti dell’animo, che morire non può, amar negli amici si devono, e che sono anche quelle, che gli uomini di valore, e di senno distinguono da’ dappoco, e da nulla, di cui dopo morte niuno ne parla, ripiglio lena, e dando bando al dolore, di queste, acciocchè vada la fama, ove elle andare non possono, e se ne perpetui da per tutto la memoria, vo’ favellare. Nacque egli adì 14 di luglio dell’anno 1658 nella parrocchia di San Raffaello di Milano; e fu sua ventura nascere in città bella, nobile, ricca, popolata, e piena di maestri, e di scuole; per lo cui mezzo aver poté tutto il comodo di studiare, e d’applicare a qualunque professione, che scelta avesse, e che fosse stata in grado anche a Carlo suo padre, che molto, e molto l’amava. Studiò primieramente la gramatica, e qualche po’ di retorica al collegio de’ Gesuiti, ed ebbe per due anni lezion di disegno da certo Volpini pittore. Quindi più della scultura, che della pittura