Ricci, Amico

Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona
vari monumenti sepolcrali scavati nel suolo medesimo dove sorge l’abazia. Uno de’ quali serbandosi ancora intatto, a comprova della nostra affermazione, ho creduto bene di riportare in appendiceM. SICCINI M. FIL. VEL OLYMPIAN. | VIXIT AN. XVII | MENS VIII | DIEBUS III | NUMISIA TER. | TULLINA. FILIO. | PIENTISSIMO.. Quindi ne inferisco che se dove ha società, ivi ha eziandio religione, altari e luoghi ad essa deputati, non mancò certamente in Rambona almeno un tempio dedicato a qualche genio, o dio, che più vi fosse venerato. Onde giudico, che di tale opera fossero già parte le anzidette colonne che io voglio a sacro edifizio, meglio che ad altro credere appartenenti. La cosa però sarà fuori d’ogni questione quando rifletter si voglia al nome di Rambona che quella contrada ha mai sempre ritenuto. Rambona fu anticamente detta in latino idioma Arabona. Così il settempedano Panfilo nel suo canto de Laudibus piceni, e più precisamente il Ferrario nel catalogo generale dei santi «Arabonae situm est Abaticae in Piceno vulgo Arambona apud Pollentiam quod nunc Monte Milone dicitur». Or queste parole ad altro valere non ci debbono, se non a mostrarne che ivi fosse eretto un qualche piccolo recinto, di quelli che Sacellosacellum dissero i Latini, secos i Greci; il quale recinto di figura circolare, con colonne intorno e senza retto, soleva avere nel mezzo un’ara, ma questa non poteva essere dedicata alla dea Buona, come alcuno erroneamente potrebbe credere, perché quella dea si onorava con ceremonie secrete in luoghi riposti ed ascosi, e dalle sole donne. Però chi volesse, in iscambio di tale dea Buona, credere che qui fosse collocata un’ara a Pono dio della fatica, ossia come diremo noi latinamente al dio Labore, e con esso ad Ampnoa, che vale riposo dopo la fatica, io non saprei che vi opporre, perché di simili iddii non pochi certamente ne aveva l’Italia, i quali dalla Grecia molte volte traevano il loro nome. In fatti sappiamo che la dea Feronia fu in queste parti onorata, e si disse che il suo nome derivasse dal greco vocabolo FerhestaiCod. Tit. de Paganis, libro XVI. Gotofredo, Commentarius ad Anno VIII.. I Greci largamente si distesero in Italia, massime dopocché i Siracusani qui posero una nobile loro colonia, percui vi rimangono ancora non poche greche vestigia. E perché, dirò io, non poté essere collocata dai Greci un’ara, e detta l’ara della fatica e del riposo, essendo pur vero che la nostra vita
p. 10 [14]