Pascoli, Lione

Vite de' pittori, scultori ed architetti moderni, 1730
prelati, ed altri molti personaggi, che ordinariamente intervengono a tal funzione solita a farsi ogni tre anni, per ispronar detti giovani allo studio, ed alla gloria d’essere preferiti a’ compagni. E come egli assunto ne aveva tutto il peso, e che bramava che riuscisse al pari dell’antecedenti signorile e magnifica, e che non si facesse parzialità nella distribuzione de’ premi, molto vi si applicò e non poco vi si agitava. Ne fui io testimonio di vista, che essendo in un di que’ giorni ito a trovarlo per discorrer seco d’alcune cose, secondocché eravam restati poco prima in appuntamento, lo vidi fuor di modo inquieto ed alterato. Proccurai di divertirlo, e stetti a posta buon’ora seco, di tutto discorrendo da quello in fuori, che era stato da noi appuntato, che fu rimesso a un altro giorno; né mi sarei immaginato mai che questo non fosse per giugnere, e che quello dovesse esser l’ultimo. Rimesso che si fu in calma, me ne partii, e la mattina degli 8 mi mandò per un suo giovine alcuni bollettini per distribuire agli amici, acciò potessero aver ingresso alla funzione, che si fa sempre a porte serrate con cancelli, e con guardie. Me ne stava il giorno de’ 9 lieto a Pasquino nella libreria del Pagliarini a veder certi libri quando egli, dalle stanze di sopra calato a quelle di sotto, mi disse che la notte passata era morto improvvisamente il nostro Camillo. Niente in vero poteva più di questa funesta e dolorosa nuova sorprendermi, ed a chi è nota la famigliare e vera amicizia che tra noi passava, può ben capire quanto me ne affliggessi; e tanto più me ne afflissi, quantocché saper non poteva in che modo preciso era accaduto il caso strano. Mi fu raccontato poi dall’abate Cizoni, suo gentile e savio nipote, e da Giuseppe Rusconi, suo antico e degno scolare, ambedue miei altresì cari amici, che vi si trovaron presenti, che io narrerò nella stessa maniera; che m’è stata narrata da loro. Svegliossi la [267] medesima mattina degli 8 avanti giorno, e seguitando a stare a letto, riandava col pensiero il terzo modello di cera, che fatto aveva della detta statua di S. Ignazio; e parendogli, tuttocché due altri, come testé narrai ne avesse fatti, di non essersi neppure in questo abbastanza soddisfatto, si levò, e cominciandogli a stare appresso, lo ridurre finalmente all’intero suo gusto, e disse egli stesso primacché lasciasse di lavorarvi, che n’era contentissimo. Passò tutto il resto del giorno in moto continuo, ed aveva in alcuni precedenti pranzato eziandio assai tardi, e fuori dell’ora solita, cenò la sera, e mangiò secondo il suo costume parcamente, andò a quattr’ore a letto, si svegliò alle sei, ed alzatosi chiamò il mentovato Giuseppe, che dormiva in una stanza vicino alla sua; quindi pieno di smania e d’affanno si gittò a sedere sul letto, finché tosto giunse Giuseppe, e sentitolo gridar che moriva, destò presto il nipote, che dormiva nell’appartamento di sopra, ed immantenente corse al rumore. Abbracciato lo zio, proccurava di sollevarlo, ed insieme insieme gli suggeriva atti di contrizione e di fede, mentrecché egli con un crocifisso alla mano, a cui aveva particolar divozione raccomandava di cuore l’anima a Iddio, ed a S. Buonaventura suo particolar protettore. Andò Giuseppe a’ Cappuccini per cercare del confessore, che trovò subito, ma non giunse a tempo; poicché dette alcune cose al nipote, e raccomandatogli il suo diletto discepolo, fu dal catarro, dalla bile, dal sangue, e da altro umore travasato, che per lo petto con moto violento e romoroso gli si ravvolgeva, parlando, a tre quarti delle dette sei ore soffogato. Così finì il nostro esperto, celebre, e raro scultore i suo’ giorni; e così finirà forse per lungo tempo d’averne uno uguale la Scultura! Fu il cadavero portato processionalmente di notte, accompagnato dalle due confraternite
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